DIRETTIVA EUROPEA SULL’EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI EDIFICI: ALTRO CHE PATRIMONIALE, E’ UN MODO PER RIDURRE LE BOLLETTE (e vivere meglio).


Non capita spesso che in Italia si apra una discussione su una normativa europea e quando succede si creano polemiche basate su dati e fatti imprecisi. La direttiva sulla Performance energetica degli edifici (Energy Performance of Building Directive) di cui si parla in questi giorni, è la revisione di una normativa già esistente e che riguardava soprattutto le nuove costruzioni mentre questa si concentra sul patrimonio edilizio esistente; fa parte di un pacchetto legislativo (“Fit for 55”) che tocca tutte gli aspetti della politica energetica e che serve per realizzare gli obiettivi di riduzioni delle emissioni climalteranti del 55% entro il 2030, tappa necessaria per diventare il primo continente a emissioni nette zero nel 2050. La proposta legislativa della Commissione è della fine del 2021; il Consiglio dei ministri dell’energia degli stati membri ha adottato la sua posizione, con il voto positivo dell’Italia, a ottobre e il Parlamento europeo in sessione plenaria adotterà la sua in marzo o aprile, dopo il voto in commissione energia e industria che avverrà il 9 febbraio. A quel punto inizieranno i negoziati per la versione finale della normativa che dovrà vedere Consiglio e Parlamento mettersi d’accordo sullo stesso testo, cosa che si prevede avverrà entro quest’anno o a inizio 2024.

L’elemento centrale della direttiva è l’introduzione di standard minimi di prestazione energetica per gli edifici esistenti (per gli edifici nuovi già esistono degli standard minimi). La proposta sulla quale si voterà in febbraio in Parlamento europeo è l’introduzione di obblighi di riqualificare gli edifici pubblici e gli edifici non residenziali portandoli alla classe energetica “E” dopo il 2027 e “D” dopo il 2030 e gli edifici residenziali portandoli alla classe energetica “E” dopo il 2030 e “D” dopo il 2033. Diversamente da quanto riportato in alcuni articoli, la proposta non prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati. La bozza prevede invece la possibilità, fino al 2035, di derogare per giusta causa agli obblighi di riqualificazione per l’edilizia sociale e per gli edifici storici. È vero invece che ci sono alcuni stati membri, come la Francia che hanno introdotto limitazioni alla vendita e affitto di immobili inefficienti già da quest’anno.

Negli ultimi giorni in Italia è montata la polemica sulla scorta di informazioni in parte scorrette sugli obblighi che deriverebbero dalla nuova normativa e un approccio concentrato esclusivamente sui supposti costi di un vasto piano di ristrutturazioni edilizie, come se fosse possibile continuare ad avere edifici colabrodo in tempi di clima impazzito e guerre energetiche; la direttiva ha invece l’obiettivo di attrezzarci ad affrontare non solo i cambiamenti climatici e i loro terribili effetti, ma anche il caro bollette e di ridurre in modo drastico la nostra dipendenza dai combustibili fossili e in particolare dal gas. Avviare un piano vasto e ben organizzato di miglioramento della qualità energetica degli edifici non significa “ridurre la libertà” dei proprietari di case o forzarli a pagare una patrimoniale. Ma aiutarli a mantenere o aumentare il valore del loro bene: perché anche se la direttiva non fosse adottata questo diminuirebbe comunque, come già sta accadendo oggi.

Tutti concordano sul fatto che il patrimonio edilizio italiano sia vetusto ed inefficiente e a parole anche che è necessario riqualificarlo; ed è responsabile di circa il 40% dei consumi finali di energia e di circa il 36% delle emissioni GHG. Solo che non tutti concordano sul fatto che sia necessario agire ora per cambiare la situazione usando le risorse disponibili e si scagliano contro la direttiva invece che contro i ritardi e la distrazione che ne rendono a loro dire impossibile l’applicazione. L’esposizione del nostro paese verso le importazioni di gas è enorme e la maggior parte di questo gas è usato per il riscaldamento di abitazioni, edifici pubblici e uffici. Un approccio razionale alla crisi energetica e all’aumento incontrollabile dei prezzi dell’energia suggerisce di accelerare la riqualificazione del nostro patrimonio immobiliare per ridurne drasticamente il fabbisogno energetico, catalizzare l’integrazione delle energie rinnovabili e ridurre il peso, ormai insopportabile per molte famiglie, delle bollette energetiche.  In questo senso la riqualificazione energetica degli edifici, guidata dagli obblighi proposti dalla direttiva, lungi dall’essere una minaccia per il sistema paese, diventa una spinta positiva a rimboccarsi le maniche per ridurre la dipendenza energetica del nostro paese, alleviare la povertà energetica riducendo i consumi e i costi energetici, e aumentare il valore delle nostre proprietà immobiliari.

Lo Stato italiano, i ceti più vulnerabili, ma anche tutti e tutte noi stiamo già pagando moltissimo la nostra dipendenza dal gas, e non solo quello russo. Ed è molto curioso che mentre si protesta contro le prospettive dei costi delle ristrutturazioni, che dipendono anche dalla scarsissima attenzione data alla questione del risparmio energetico in questi anni, non si dice assolutamente nulla dei 63,4 miliardi di euro che sono stati dati in sussidi indiscriminati alle bollette e quindi non sono investimenti, ma spesa a fondo perduto che premiano chi consuma di più. Per non parlare delle spese in più che privati e imprese devono affrontare a causa dell’inefficienza delle costruzioni italiane. Questi sussidi dovrebbero in teoria terminare in marzo; già possiamo prevedere che sulla scorta di ciò che accade sul fronte delle accise sui carburanti, il governo si troverà in grande difficoltà se li interromperà senza pensare ad una strategia alternativa.

Dietro la levata di scudi sulla direttiva c’è anche la mancanza di comprensione del fatto che la gravità dei cambiamenti climatici, le instabilità geopolitiche e dei prezzi dei combustibili fossili devono orientare chi ci governa ad usare tutte le (ingenti) risorse esistenti verso una accelerazione della transizione e non il suo rallentamento, come invece sta succedendo. Anche perché, e se ANCE e CONFEDILIZIA, che hanno fomentato la polemica di questi giorni, fossero intellettualmente onesti lo direbbero, la rinascita e riqualificazione del settore edilizio passa dalle ristrutturazioni e non certo dalla spinta a nuove costruzioni di cattiva qualità. Non è un caso se uno degli obiettivi dichiarati della nuova normativa siano anche le ricadute positive sul sistema economico e produttivo oltre a contribuire a centrare gli obblighi nazionali ed europei di riduzione delle emissioni climalteranti.

 

Occorre dunque spiegare bene e sostenere gli obblighi della direttiva perché in Italia abbiamo le capacità e le tecnologie per trasformare profondamente l’ambiente costruito e renderlo volano di crescita economica ed occupazione non delocalizzabile. Quali sono allora le condizioni per rendere sostenibili e realizzabili questi obiettivi? Sicuramente bisogna ridefinire e stabilizzare il quadro di incentivi fiscali, che oggi sovvenzionano anche opere non finalizzate al risparmio energetico ed addirittura l’istallazione di caldaie a gas; promuovere modelli di finanziamento innovativi (come ad esempio i contratti di rendimento energetico, “pay as service”, mutui verdi, certificati bianchi), migliorare la qualità della spesa dei fondi di coesione per lo sviluppo regionale e per la formazione professionale: nessuno pensa che il peso delle vastissime ristrutturazioni necessarie debbano essere esclusivamente a carico delle famiglie; ci deve essere un vero investimento da parte dello Stato, delle autorità locali e finanziarie, ma anche dei proprietari/e delle case per accompagnare con norme semplici da applicare, finanziamenti accessibili una transizione che non è solo necessaria ma che deve diventare anche desiderabile e sostenibile per tutti e tutte.

articolo pubblicato su https://www.huffingtonpost.it/autori/monica_frassoni/

16 gennaio 2023