La battaglia per il futuro dell’Europa passa dal bilancio comunitario


La commissione europea ha presentato il 2 maggio la sua proposta per il quadro finanziario pluriannuale post-2020; in altre parole, si tratta di decidere dove verranno destinati i fondi europei dal 2021 al 2027, a quanto ammonteranno e in che modo verranno utilizzati. Non si tratta di semplice contabilità: si tratta di scelte politiche ben precise che definiranno l'assetto dell'Unione per (almeno) i prossimi 7 anni.

 

Questo bilancio è il primo che fa i conti con la Brexit: l'uscita del Regno Unito dall'Unione, infatti, lascerebbe un buco nel budget europeo pari a 13 miliardi di euro all'anno, il che avrà dei chiari impatti sulle possibilità concrete della Ue di agire in campi e politiche chiave.

 

Il presidente Jean-Claude Juncker ha perciò presentato una proposta che fa seguito a quella (molto più ambiziosa e progressista) del Parlamento europeo dello scorso marzo. Il bilancio europeo proposto dalla Commissione ammonta a 1.279 miliardi di euro, ossia l'1,114% del reddito nazionale lordo europeo, una percentuale persino più bassa dell'1,3% (già largamente insufficiente) postulata dal Parlamento ed estremamente lontano da quei 1800 miliardi di euro invocati dal gruppo dei Verdi che sarebbero necessari per garantire un funzionamento efficace e indipendente delle istituzioni.

 

Già, indipendente: perché infatti la questione chiave riguarda i contributi nazionali, che molti falchi del bilancio vorrebbero vedere diminuiti dopo la Brexit (una su tutti, l'Olanda). L'obiettivo del bilancio invece è di dotare l'Ue di mezzi per investire in politiche che davvero possano proteggere la vita e il futuro dei cittadini europei e del pianeta.

 

La Commissione ha fatto una proposta che mantiene un budget (cosiddetto) alto per una Unione più piccola. Questo però implica contributi più alti da parte degli Stati membri e, soprattutto, dei tagli.

Ecco, decidere dove tagliare e dove invece investire sarà ciò che potrà salvare o condannare il futuro della Ue. Ora come ora, i tagli più visibili sono nella Politica Agricola Comune (PAC) e nei fondi di coesione, di circa il 5%.

Mentre per quanto riguarda i sussidi agli agricoltori occorre qualificarli in maniera precisa, i tagli alla politica di coesione sono un grossolano errore: sono infatti le conseguenze più tangibili dell'operato della Ue nella vita quotidiana dei cittadini e rischiano di mettere in pericolo il principio ultimo dell'esistenza stessa dell'Unione: la solidarietà. Solidarietà che, in questi ultimi anni, si è vista poco e che rischia di diminuire ulteriormente.

In altri campi si vedono aumenti, soprattutto a livello di politiche giovanili, ricerca e innovazione. Salta all'occhio soprattutto l'aumento di 2,6 volte di risorse destinate a migranti e di 1,8 per la sicurezza. Quello che non deve assolutamente succedere è che questi fondi vengano sperperati e adoperati per rafforzare il controllo dei confini esterni della Ue, ossia, più esercito e polizia a respingere i disperati, quando invece dovrebbero essere destinati a progetti virtuosi di vera integrazione.

Un'altra nota dolente riguarda le spese per la lotta al cambiamento climatico e, in particolar modo, l'insufficiente determinazione a uscire dai fossili e interrompere gli investimenti in questo settore delicato: la Commissione presenta l'obiettivo del 25% del bilancio da destinare a politiche del clima, un target non solo inferiore del 30% previsto dal Parlamento, ma soprattutto del 50% proposto da altri attori tra cui i Verdi, che sarebbe in linea con gli accordi di Parigi e che potrebbe davvero fare una qualche differenza.

È stato annunciato anche un piano di 55 miliardi di euro per l'Eurozona che prevede aiuti per mantenere costante il livello di investimenti pubblici in periodo di crisi e prevede fondi per le riforme.

Infine, voglio attirare l'attenzione su una questione di cui in Italia vedo purtroppo parlare poco: quella delle risorse proprie. Al momento il budget europeo è finanziato soprattutto tramite contributi nazionali, il che lo rende estremamente dipendente dagli interessi degli Stati membri (ritorniamo a quello che dicevo prima sull'autonomia di azione ed efficacia delle politiche della Ue). La Commissione oggi ha proposto di alzare il livello di risorse proprie per abbassare i contributi nazionali al 58% (invece del 40% come chiesto dal Parlamento).

La questione è ovviamente: da dove prendere queste risorse? Qui la Commissione ha superato ogni più rosea aspettativa, perché ha proposto proprio quelle nuove tasse ambientali che i Verdi chiedevano, soprattutto quelle legate allo scambio delle quote di emissione e all'uso di plastiche non riciclabili. Non ha voluto per ora proporre tasse sui colossi digitali, ma è già un passo in avanti non indifferente. Purtroppo anche questa sarà una battaglia impari, dato che gli Stati membri devono decidere all'unanimità se intervenire o no in materia fiscale.

Ricordo che il 94% del bilancio Ue è destinato a cittadini, regioni, città, agricoltori e imprese. A noi europei, in pratica. E prendere decisioni positive, progressiste ed ecologiche in merito a questo bilancio è uno dei mezzi che ha il progetto europeo di sopravvivere alle voci di odio, divisione e disgregazione che strepitano sempre più incattivite.

(originariamente pubblicato su Huffington Post)

Bruxelles, 3 maggio 2018